Diversi lettori ci chiedono perché ci stiamo occupando tanto del “problema Siria”, trascurando i fatti di casa nostra, dalle vicende Berlusconi alla tenuta del Governo. Domanda opportuna e legittima, alla quale rispondiamo prima di dare l’aggiornamento sugli sviluppi del “Caso Siria”. La risposta – riteniamo noi – è semplice: ciò che sta accadendo nei Paesi del bacino del Mediterraneo, del Nordafrica e del Medio Oriente riguarda tutta la collettività mondiale, riguarda noi Italiani (e…noi Siciliani…) non solo perché questi Paesi sono nostri vicini di casa, non solo perché una convivenza civile porta “pace” e non “guerra”, ma soprattutto perché con questi Paesi l’Italia collabora, ha scambi commerciali e industriali, e quindi opportunità di “lavoro”. Anche con la Siria. Vorremmo una Siria che vivesse in pace e non fosse dilaniata dal sangue fratricida; vorremmo un Egitto in pace e non annotare scontri feroci in nome di religioni. E lo stesso discorso vale anche per la Libia e per tutti quei Paesi che stanno attraversando una fase di mutamenti repentini che le popolazioni non riescono più a sopportare. E vorremmo pure non registrare fughe da quei Paesi a centinaia, a migliaia di migranti che finiscono con lo sbarcare nelle coste siciliane o calabresi. Ecco perché mettiamo in primo piano quanto in questo momento sta accadendo in Siria: tutti siamo coinvolti nei disastri, tutti siamo responsabili della morte di uno o mille o diecimila essere umani. Non possiamo fare come le tre scimmie che non vedono, non sentono e non parlano, nessuno ha il diritto di distruggere, tutti abbiamo il “dovere” di capire e di non essere presi in giro.
La Siria, così come l’Egitto o la Libia o la Tunisia in precedenza, dopo i primi sussulti generali, fa meno audience, le notizie da quel “fronte” passano in seconda o terza linea. Ovviamente non si parla più di “Primavera araba”. Audience sui mass media alta fino a quando è stato annunciato un possibile “attacco” a Damasco per giovedì 28 agosto (cioè ieri), ma la giornata è trascorsa senza che questo (fortunatamente) si verificasse. In un certo senso lo avevamo previsto: il prender tempo di Obama con la causale delle consultazioni (con i suoi capi militari e con gli alleati) non era di certo “casuale”. Questo tempo è servito e serve per ammorbidire gli alleati più restii all’intervento armato, ed infatti qualche Paese, come la Germania, ha mutato rotta. Ora la cancelliera tedesca Angela Merkel si dice d’accordo con il presidente francese Francois Hollande sul fatto che serve una “reazione” all’attacco con armi chimiche in Siria, definito “una violazione del diritto internazionale che non può rimanere senza risposta”. David Cameron ha avuto il tempo per la presentazione in Parlamento la mozione sulla Siria, nella quale si afferma che “La situazione è differente rispetto all’Iraq“, mentre lo stesso leader dell’opposizione britannica, il laburista Ed Miliban non esclude “la possibilità di un intervento” anche se “bisogna essere consapevoli delle conseguenze”.
Conseguenze tante. Oltre la minaccia di atti di terrorismo in Europa, quelle verso Israele (“Israele brucerà”) sono più gravi. Alle minacce Israele risponde con le parole del presidente Shimon Peres: ”Israele non è coinvolto nella guerra civile siriana, ma se provano a colpirci risponderemo a piena forza”.
Che l’opzione militare contro la Siria fosse stata accantonata era una speranza: a quanto pare la diplomazia internazionale non ha voce in capitolo. La fregata antiaerea francese “Chevalier Paul”, una delle più tecnologicamente avanzate in dotazione alla Marina di Francois Holland, dal porto di Tolone è salpata per raggiungere la flotta internazionale schierata in prossimità delle coste siriane, che comprende ”quattro fregate lanciamissili della Us Navy e un certo numero di sottomarini nucleari americani e britannici”. Mentre sei aerei da caccia della Raf sono stati dispiegati a Cipro “come misura precauzionale” per proteggere gli interessi britannici nella regione, mentre una nave lanciamissili statunitense, con 4 elicotteri ed equipaggiamenti per sottomarini, ha già attraversato il Canale di Suez.
E la Russia? Mosca sta rafforzando la sua squadriglia navale nel Mediterraneo, inviando una nave anti sommergibile della flotta del Nord e l’incrociatore lanciamissile “Moskva” della flotta del Mar Nero. Notizie ufficiali, riferite da una fonte della Stato Maggiore russo, citato all’agenzia Interfax.
Un intervento armato di Stati Uniti e alleati contro la Siria avrà pesanti ripercussioni, ovviamente, anche sul piano economico per tutti i Paesi dell’Unione Europea e, quindi, anche per l’Italia. I giornali specializzati ricordano la crisi del novembre 2011 quando l’Unione Europea vietò ai Paesi membri di acquistare, importare o trasportare greggio e prodotti petroliferi siriani. A pagare caro quel primo embargo fu l’Italia: i prodotti petroliferi venivano e vengono raffinati da Eni, Saras e Italiana Energia e Servizi Spa. Queste aziende furono costrette a un costoso riposizionamento. Un riposizionamento ancor più doloroso visto che i prodotti siriani rimpiazzavano i buchi di approvvigionamento frutto della crisi libica. Anche la crisi seguente, quella del giugno 2012, provoca il di un interscambio commerciale con la Siria da 2,3 miliardi di euro, equamente divisi tra importazioni (1,13 miliardi di euro) ed esportazioni (1,16 miliardi di euro). In Siria però il “made in Italy” andava oltre gli idrocarburi. Nel 2010 i prodotti alimentari garantivano all’Italia un fatturato da 13 milioni di euro. E altri 5 milioni e mezzo di euro entravano grazie alle esportazioni di abbigliamento.
Il possibile intervento armato contro la Siria può creare ulteriori problemi, può trascinare alla guerra civile anche il Libano, un altro partner fondamentale per l’economia italiana che ha un volume in crescita di esportazioni verso quel Paese, salite nel 2012 ad 1,83 miliardi di dollari.
Una partita quella che si sta aprendo che – come abbiamo rilevato in articoli precedenti – presenta più incognite che certezze.
In questo quadro anche la Sicilia gioca il suo ruolo con la presenza nel suo territorio delle agguerrite installazioni militari della Sesta Flotta USA.
Come potremmo, pertanto, non metter in “Primo Piano” sul nostro giornale il “Problema Siria”? Riteniamo la questione – ribadiamo – più importante delle futili schermaglie Grillo-Napolitano, o del “Caso Berlusconi”: così è, se vi pare…